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Alla stanga, Giovanni Segantini, Galleria nazionale d'arte moderna, Roma

stato di conservazione e interventi precedenti

La tecnica esecutiva di Segantini, insieme alle vicende conservative dell’opera, segnate dal grave atto vandalico del 1948, hanno determinato particolari manifestazioni di degrado.
Dopo l’attentato in occasione del restauro presso l’ICR, una toppa rettangolare in viscosa, di ampia dimensione,  per non evidenziare il profilo sul fronte, fu applicata con colla-pasta  per risanare e rinforzare il supporto. Immediatamente sotto la toppa, sono visibili tre strisce di carta a formare un triangolo, incollate con colla-pasta lungo i bordi delle due lacerazioni passanti a  forma di V, ed anche del graffio profondo orizzontale che interessa i soli strati pittorici. La tela era stata già foderata a colla pasta prima del 1948, ma non sono state trovate notizie d'archivio. Un frammento di carta, presente sul bordo, residuo  di questo intervento,  è stato analizzato e datato alla fine dell’Ottocento. L’attuale telaio riporta, tra le varie etichette, una della Biennale di Venezia del 1926. Probabilmente le grandi dimensioni ed il peso della materia pittorica hanno causato una perdita di tensionamento, provocando  sollevamenti degli strati pittorici, risanati come era consuetudine  con la foderatura, considerata anche trattamento preventivo prima della comparsa di questi problemi. Localizzati accumuli di adesivo “intrappolati” tra le due tele, originale e di rifodero, appaiono a luce radente in vari punti del dipinto, insieme a irreversibili deformazioni verticali diffuse sulla superficie, provocate dalla difficoltà di tensionamento sul lato lungo del filato del tessuto di rifodero in fase di asciugatura.
Più tipologie di cretto interessano la pellicola pittorica: agli angoli il cretto ad andamento diagonale   testimonia una tensione eccessiva nell’ancorare la tela sul telaio, mentre alcune zone circoscritte riportano un  cretto meccanico dovuto ai numerosi strati pittorici frutto della tecnica. Un cretto da essiccamento, aperto e largo, è invece localizzato nelle campiture brune: lasciava presumere l’uso del bitume, ma l'ipotesi è stata invalidata dalle analisi chimiche. La causa può probabilmente imputarsi all'eccesso di siccativi ed alla successione impropria degli strati materici con "magro su grasso". L’apporto di calore necessario per la foderatura ha provocato in zone critiche anche il corrugamento della pellicola pittorica, visibile sul cielo e sulle montagne.
L’ingiallimento della vernice superficiale e il deposito di sporco coerente falsavano i contrasti cromatici dell’opera. Le analisi chimiche hanno identificato  resine naturali come costituenti una prima vernice, presumibilmente "originale" del 1891 e del secondo strato steso probabilmente durante la foderatura.
La reintegrazione ad acquerello e con colori a vernice, della stuccatura a gesso e colla eseguita sui tagli, risultava alterata cromaticamente.