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Narciso

Narciso
1603-1604

Domenico Zampieri detto il Domenichino
affresco staccato, cm 143x267
Roma, Palazzo Farnese, sede dell’Ambasciata di Francia

 

Il dipinto proviene in origine dal Casino della Morte, dipendenza del Palazzo Farnese, edificato per volere del cardinale Odoardo Farnese nel 1602-1603 sulle rive del Tevere e collegato con l’oratorio e la chiesa di S.ta Maria dell’Orazione e Morte.

La decorazione, affidata da Annibale Carracci al giovane Domenichino, comprendeva tre grandi riquadri ad affresco racchiusi entro cornici a stucco, di soggetto mitologico e ispirati alla flora del giardino segreto voluto dal cardinale: Narciso, Apollo e Giacinto, Morte di Adone. Gli affreschi datano ai primi anni del soggiorno romano dell’artista (1603-1604).

A inizio Ottocento, nell’ambito di una campagna di restauri delle decorazioni del Palazzo, se ne decise lo stacco e il trasferimento in ambienti interni prossimi alla Galleria. L’operazione fu affidata a Pietro Palmaroli che la eseguì nel 1816. Palmaroli, restauratore la cui notorietà era in quegli anni legata soprattutto all’intervento di estrazione della Deposizione di Daniele da Volterra nella Cappella Orsini in Trinità dei Monti, è considerato l’inventore dello stacco degli affreschi con il solo intonaco, quando la tecnica praticata all’epoca era quella dello stacco a massello o dello strappo.

Nel tempo Narciso ha subìto almeno due interventi di restauro, uno dei quali forse in occasione della mostra L’ideale classico del Seicento e la Pittura di Paesaggio, allestita a Bologna nel 1962. A questo momento sembra riconducibile l’attuale assetto del supporto e i materiali con cui è realizzato appaiono infatti in linea con le caratteristiche operative di quegli anni: il dipinto, che conserva parte dell’intonaco originale a base di calce e pozzolana dello spessore di circa mm 3 è stato fatto aderire - parrebbe senza strato d’intervento - con caseato di calcio e Vinavil a una tela sottile di cotone. La struttura è stata poi montata su un pesante telaio ligneo riverniciato in tempi più recenti. La lavorazione e il taglio delle parti del telaio, gli elementi metallici e i cavicchi inducono a non escludere il reimpiego nel Novecento del telaio ottocentesco.

Ulteriori interventi di restauro, con nuove stuccature e reintegrazione pittorica, sono collocabili nei primi anni Novanta del secolo scorso.

 

L’operazione di stacco ottocentesca ha restituito un’opera che reca evidenti i segni di questo intervento: gli esiti sono nella maggior parte dei casi irreversibili e restituiscono un’opera lontana sia dalla sua funzione originaria, decorare l’architettura, sia mutata nei suoi valori estetici. Gli strati preparatori appaiono  notevolmente assottigliati, con la conseguenza di tradurre il dipinto murale in una struttura più flessibile, da allestire come una pittura da cavalletto, su tela e telaio ligneo;  la superficie dipinta è caratterizzata da un reticolo di fratture,  talvolta sconnesse, che interessano anche gli spessori dell’intonaco residuo e che derivano dall’azione delle lance utilizzate per rimuovere la pittura dal paramento murario; la pellicola pittorica, impregnata dell’adesivo impiegato per l’adesione della tela di protezione che si applicava sulla superficie dipinta preventivamente allo stacco, può aver perduto i valori cromatici originali; le stesure pittoriche finali, maggiormente corpose ed applicate anche a secco, possono aver risentito dell’operazione di rimozione delle tele di protezione e risultare quindi lacunose o impoverite. A ciò si aggiungano le modifiche dovute ai successivi interventi di restauro che hanno coinvolto sia l’assetto strutturale, sia l’aspetto estetico.

Gli obiettivi dell’attuale restauro sono stati molteplici: individuare le tracce materiali dell’intervento ottocentesco; migliorare l’assetto conservativo dell’opera attraverso una revisione dell’attuale supporto; intervenire sul recupero dei valori cromatici originali.

Le problematiche affrontate nel corso del lavoro sono riconducibili prettamente alla vecchia operazione di stacco che ha causato i danni significativi già descritti. Importante è stato ricostruire la sequenza e la tipologia degli interventi di restauro che si sono succeduti, avvalendosi dell’apporto delle indagini scientifiche (XRF, RTI).

La riflessione su cosa conservare e cosa invece rimuovere è stata centrale, particolarmente necessaria, e ha condotto infine al minimo intervento: si è mantenuto l’allestimento del dipinto murale staccato sulla tela e il telaio anziché predisporre un nuovo supporto rigido, per non sottoporre l’opera già “provata” a ulteriori stress e perché il vecchio allestimento garantisce ancora una sua funzionalità. Si è comunque migliorato il sistema di tensionamento foderando opportunamente i bordi laceri della tela. La pulitura ha dovuto prendere atto della particolarità per la quale un dipinto murale staccato viene trattato come un dipinto da cavalletto e quindi sottoposto a trattamenti impropri: si è deciso di asportare le stuccature deturpanti realizzandone di nuove con materiali idonei e di rimuovere le ridipinture più grossolane a vantaggio della pellicola pittorica originale.

 

Gruppo di lavoro

Laura D’Agostino: direttore dei lavori
Barbara Provinciali, Anna Maria Marinelli: direttori operativi e restauratori
Daniela Luzi, Clelia Sbardella e Caterina Manisco (ERRE Consorzio): restauratrici esterne
Fabio Aramini: analisi multispettrali
Lucia Conti, Paola Santopadre, Giancarlo Sidoti: indagini chimiche
Edoardo Loliva: documentazione fotografica
Ferdinando Provera, Mauro Torre: indagini fisiche