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Alla stanga, Giovanni Segantini, Galleria nazionale d'arte moderna, Roma

tecniche di esecuzione

Il dipinto (170 x 390 cm) è realizzato su un’unica pezza di tela di canapa di produzione industriale: considerato l’ampio formato, è probabile che l’artista abbia acquistato la tela a metraggio. Il tessuto, ad armatura “tela”,  presenta un intreccio piuttosto fitto di trama e ordito, adeguato alle grandi dimensioni del dipinto.
Sul supporto è presente una prima preparazione sottile, di colore bianco, a base di carbonato di calcio: un priming di natura assorbente applicato per colmare gli interstizi e livellare le irregolarità del tessuto. Sopra ad esso l’autore ha quindi applicato uno strato giallo o bruno ad olio, una sorta di fondo colorato necessario a smorzare il bianco della prima preparazione. Questo strato è risultato essere a base di terre, ocre ed ossidi di ferro in corrispondenza della vasta zona del prato, ocre e composti di piombo al di sotto della striscia di cielo: Segantini quindi impiega fondi di colore diverso a seconda delle principali campiture di colore, al fine di valorizzare l’effetto pittorico finale.
Su questo fondo l’artista traccia le linee generali della composizione. Dalle analisi multispettrali in realtà sono emerse poche tracce del disegno preparatorio, non facilmente individuabile a causa del notevole spessore degli strati pittorici; al contrario sono apparsi alcuni pentimenti, finalizzati a rialzare il punto di vista della composizione per conferire maggiore profondità alla scena.
Quanto alla stesura pittorica, in quest’opera di passaggio essa appare articolata in forme diverse, dovute alla progressiva evoluzione della tecnica dell’artista. Segantini impiega infatti campiture piuttosto omogenee, ad impasto di colori, nello sfondo e nelle figure, mentre la vasta zona del prato appare caratterizzata da una complessa tessitura di pennellate sovrapposte e accostate che prelude al fitto tratteggio di linee di colore puro dei quadri divisionisti eseguiti dal 1891.
In merito alla tavolozza, le analisi confermano l’impiego in questa fase di una gamma piuttosto ricca di colori. In particolare si distingue la presenza di bianco di zinco e bianco di piombo; verde di cobalto, verde di Schweinfurt e verde di cromo; blu oltremare artificiale, blu ceruleo e blu cobalto; giallo di cadmio, antimoniato di piombo e probabilmente Massicot; lacche a base di allume, ocre ed ematite; nero magnetite, nero d’ossa, nero vegetale.
Quanto ai marroni, questi risultano prevalentemente a base di ocre e terre di tipo organico (come il bruno Van Dyck). Pertanto, il cretto a maglia larga che li caratterizza, ben visibile già all’epoca dell’intervento del 1948, potrebbe essere imputato all’impiego di terre a base di composti organici di tipo umico e lignitico, inclini a crettare nelle tecniche ad olio (piuttosto che di colori bituminosi, non riscontrati nelle analisi), od eventualmente ad un eccesso di piombo, aggiunto all’olio come siccativo per permettere un’asciugatura più rapida della pellicola pittorica in funzione delle successive stesure di colore.
Quanto alla verniciatura finale, questa fu eseguita solo a distanza di cinque anni dall’esecuzione, quando, secondo una scheda conservativa del 1891 conservata presso la GNAM, il dipinto venne “lavato e verniciato”. Segantini quindi non eseguì la verniciatura in prima persona, probabilmente in quanto la pellicola pittorica risultava ancora fresca, ma forse diede disposizione affinché tale operazione venisse effettuata in seguito, secondo una prassi praticata altre volte dall'artista.