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Il terzo restauro dei bronzi di Riace

intervento di restauro

Il lavoro più importante dal punto di vista della conservazione è stato quello realizzato all’interno delle due opere. La terra e i prodotti di corrosione sono stati eliminati con l’utilizzo di strumenti e attrezzature di tipo meccanico. Queste operazioni sono state realizzate con l’ausilio di bracci meccanici snodabili e di video endoscopi che hanno permesso il controllo e la documentazione delle complesse manovre.
Il recente restauro conservativo, oltre ad essere stato necessario per la conservazione, ha portato una serie di approfondimenti sulla tecnologia di realizzazione offrendo preziose informazioni e novità per la ricostruzione delle antiche tecniche fusorie dell’antichità. Tra queste è da segnalare una scoperta assolutamente cruciale. Nelle approfondite operazioni di pulitura all’interno della coscia destra del bronzo B è stata rinvenuta una goccia di bronzo, causata da una colatura della cera utilizzata per la fusione. Questo ritrovamento fornisce la certezza che esso è stato realizzato a cera persa con la tecnica indiretta.
L’intervento ha messo altresì in luce le differenze tecnologiche dei due volti che non si erano potute individuare nei precedenti interventi. In particolare  è stata finalmente chiarita la tecnica di lavorazione degli occhi e la natura dei materiali utilizzati. Infatti le approfondite operazioni di microscavo e pulitura dell’interno del volto di A, ancora pieno di terre di fusione, hanno permesso di comprendere la tecnica di realizzazione degli occhi con un metodo in uso tutt’oggi: tre griffes trattengono la sclera come se fosse il castone di un gioiello. Sono evidenti gli indizi della compresenza di più specialisti che si occupavano di lavorazioni specifiche, come è evidente dalle soluzioni tecniche adottate nella lavorazione degli occhi, realizzabili solo da esperti in oreficeria. Diversamente,  i bulbi oculari del bronzo B sono stati lavorati con una sagoma cuneiforme, come si è potuto constatare osservando il bronzo dall’interno. E’ stata osservata una sottile lamina a fascetta, realizzata e inserita tra il bronzo e la pietra per renderli solidali, che termina, nell’angolo interno, con un “perno lanceolato”  costituendo il vincolo alla terra di fusione.
Durante le fasi di pulitura degli occhi del bronzo A, attuata allo scopo di rimuovere lo strato di protettivo superficiale alterato, che aveva consolidato anche depositi di terra, attraverso l’uso del microscopio si è potuta osservare una struttura cristallina, che non poteva corrispondere alla materia organica dell’avorio, di cui doveva essere costituita la sclera degli occhi. Si è potuto stabilire, a quarant’anni dalla scoperta dei bronzi, che il materiale con cui è realizzata la sclera degli occhi del bronzo A  è costituito da calcite. Sono state necessarie tre campagne analitiche di tipo qualitativo, con l’XRF, condotte dalle Università del Salento e di Cosenza, per confermare inequivocabilmente questa scoperta, dapprima intuita e successivamente così accertata.
L’unico occhio rimasto del bronzo B, il destro, realizzato anch’esso in calcite, è stato sottoposto ad una delicata operazione di pulitura, chimica e meccanica, per l’eliminazione dei depositi terrosi. In questa fase sono apparsi evidenti la deformazione del ciglio inferiore e la mancanza di quello superiore. Questo era stato riconsegnato separatamente dalla statua e conservato in diversa sede. Il ciglio di rame è stato ricollocato nella sua sede originale ed ha restituito al bronzo l’antico sguardo. Analoga sorte aveva subito la lamina di rame rettangolare, impreziosita da una decorazione, che chiudeva un incavo al di sopra della fronte. Fu rimossa durante il primo restauro per cercare possibili vie di accesso all’interno della testa.  Non sono note le cause del mancato riposizionamento, ma è certo che la placchetta, riapplicata con un intervento reversibile, ha la funzione di ripristino di quella superficie. 
Per completare l’intervento, l’interno dei due bronzi è stato sottoposto ad un trattamento di stabilizzazione con un prodotto inibitore dei processi di corrosione.
Dopo i test sulla velocità di corrosione, si è valutato se applicare un protettivo superficiale; questi, per essere efficace, avrebbe dovuto essere usato in alte concentrazione, e avrebbe modificato di conseguenza l’aspetto della superficie, rendendola troppo lucida. Si è scelto quindi di evitare l’uso del protettivo. La definitiva collocazione nelle sale espositive del nuovo museo, progettate con un sofisticato sistema microclimatico adeguato a garantire condizioni ideali per la conservazione delle statue, ha dato ulteriore sostegno a questa scelta, permettendo di raggiungere un ottimo compromesso tra i problemi conservativi ed espositivi. 

Si ringraziano particolarmente:
Cosimo Schepis restauratore della Soprintendenza Archeologica della Calabria;
l’equipe del Prof. A. Castellano dell’università del Salento;
l’equipe del Prof. A. Oliva dell’Istituto di ricerca IIS (Interazioni Ioni Superfici) del dipartimento di Fisica dell’Università di Cosenza