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Calzari pontificali con arabesco, Museo della Spiritualità, Castel Sant'Elia

analisi storico-critica

Il complesso di paramenti liturgici conservato ancora oggi nel Santuario di Santa Maria ad rupes a Castel Sant’Elia (piccolo comune in provincia di Viterbo nei pressi di Nepi), che costituirà nei prossimi mesi la collezione dell’istituendo Mueso della Spiritualità della Valle Suppentonia a Castel Sant’Elia, rappresenta un importantissimo insieme di oggetti adibiti al culto e di vesti ed di epoca medioevale.

La tradizione locale ritiene che, almeno quelle del nucleo più antico, siano appartenute ai due santi abati Anastasio e Nonnoso, vissuti a Castel Sant’Elia nel VI secolo e sepolti nella Basilica di Sant’Elia. Pur non avendo riscontri certi nelle fonti e nei documenti, bisogna però sottolineare l’importanza che tale tradizione ha avuto per la salvaguardia di questo corredo liturgico proprio per il valore di ‘reliquie’ che fu attribuito soprattutto alle vesti . Quella che è certa è la loro provenienza dalla Basilica di Sant’Elia dove erano conservate sotto l’altare maggiore.

La maggior parte delle vesti può essere datata al periodo in cui la basilica venne retta dai Benedettini la cui permanenza a Castel Sant’Elia è documentata fino al 1258. Furono poi trasferite in epoca non precisabile nella chiesa parrocchiale di Castel Sant’Elia dedicata a Sant’Antonio abate e li rimasero fino all’800.

Insieme ad altri oggetti appartenenti a questo insieme, i calzari con arabesco furono esposti per la prima volta alla ‘Mostra di Arte Sacra’ di Orvieto del 1896, cui seguì nel 1899 lo studio approfondito di Joseph Braun. Questi, nonostante il critico stato conservativo in cui versavano, ne comprese l’importanza come rara testimonianza di alcune tipologie di vesti liturgiche e della loro evoluzione nel tempo.

Dopo un primo intervento conservativo (inizio del ‘900) e un ulteriore passaggio nei locali adibiti a museo nella vicina Nepi (1923), le vesti furono temporaneamente trasferite a Roma per ragioni di sicurezza (1928) e poi riconsegnate alla chiesa di Castel Sant’Elia.

Nel 1951 è documentato un nuovo intervento di restauro a cura della Soprintendenza alla Gallerie di Roma di cui viene data notizia nel primo studio a carattere scientifico sull’intero complesso di Luisa Mortari (1956). Da questa data le vesti furono collocate in vetrine in un piccolo ambiente al piano terreno della casa del custode nel complesso del Santuario di Santa Maria ad rupes.

Nell’estate del 2001, su richiesta della Soprintendenza al Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico di Roma e del Lazio, l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro (allora ICR) organizzò un primo cantiere didattico di pronto intervento che aveva come scopo quello della messa in sicurezza dei preziosi paramenti, eliminando le macroscopiche cause di deterioramento costituite dalla inadeguata collocazione nelle vetrine realizzate negli anni ‘50. Immediatamente emerse la necessità di formulare un complessivo progetto di restauro e di manutenzione e l’esigenza di individuare un nuovo ambiente espositivo che garantisse una idonea conservazione degli oggetti e una migliore fruizione pubblica. Per l’elaborazione di questo progetto si è costituito in seno all’Istituto Centrale per il Restauro un gruppo interdisciplinare di lavoro costituto da storici dell’arte, restauratori di manufatti tessili e del cuoio, biologi, chimici, fisici, architetti.