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Il Mitra tauroctono dalla Civita di Tarquinia

analisi storico-critica

di Alfonsina Russo e Maria Gabriella Scapaticci

La scoperta del mitreo di Tarquinia si deve ad una segnalazione di attività clandestina del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale effettuata nel maggio 2014 nel Poggio della Civita.

Il celere intervento di scavo effettuato contestualmente dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale si è concentrato tutto sull’esigenza di trovare prove certe della provenienza di un magnifico gruppo marmoreo rappresentante il Mitra tauroctono, recuperato dall’Arma dei Carabinieri a seguito di indagini.

Lo scavo ha permesso il rinvenimento di un altro elemento marmoreo facente parte della stessa scultura, costituito da un cane appoggiato al ginocchio del toro attaccante al gruppo marmoreo con la tauroctonia. Questo rinvenimento è importantissimo in quanto costituisce una prova inconfutabile per dimostrare la provenienza del Mitra dalla Civita di Tarquinia.

Dal punto di vista storico le indagini archeologiche hanno palesato i resti di un edificio definibile come mitreo, mostrando un dato scientifico eccezionale, in quanto fino ad oggi sconosciuto in bibliografia. Nell’Etruria Meridionale l’unico gruppo scultoreo raffigurante il Mitra tauroctono era costituito dal quello di Vulci, rinvenuto dalla Soprintendenza nel 1975. Il nuovo rinvenimento mostra quindi la diffusione di questo culto anche Tarquinia, ma anzi, le caratteristiche compositive dell’opera spingono a considerare il mitra tarquiniese più antico di un secolo (metà II sec. d. C.) di quello vulcente, che è datato alla metà del III sec. d.C.

Il mitreo di Tarquinia, come quello di Vulci, faceva parte di una domus più complessa, ed era dedicato ad un gruppo piuttosto ristretto di adepti (fratres); si trattava quindi di un culto privato, che perdurò fino alla sua probabile distruzione violenta, deducibile dalle molteplici lacune presenti nella statua di culto. A seguito dell'editto di Teodosio promulgato a Tessalonica (380 d. C.) il Cristianesimo fu dichiarato religione di Stato e nei successivi editti teodosiani del 391 e 392 d. C., fu sancita la fine dei culti pagani ed il successo del Cristianesimo, con il divieto di adorazione delle statue e dei sacrifici agli dei pagani.

 

Lo schema della disposizione dei vari elementi del gruppo scultoreo è quello canonico previsto nelle statue di culto e nell’iconografia dell’uccisione del toro tipica nella religione mitriaca.

Mitra è vestito con una corta tunica a due balze, con maniche lunghe (tunica manicata) e cintura alta sul petto, porta inoltre i pantaloni lunghi ed aderenti di tipo orientale (anaxyrides) con scarpe alte; il mantello è fissato da una grande fibula tonda forse indicante una grande pietra preziosa.

E' appoggiato sul dorso del toro con la gamba sinistra piegata, mentre la destra è puntata sopra alla zampa posteriore destra dell’animale. Il toro è nell’atteggiamento di esalare l’ultimo respiro; ha la bocca semiaperta, curata nei minimi particolari anatomici, tanto che è stato rappresentato anche il dettaglio degli incisivi inferiori pertinenti alla mandibola, dato che nei ruminanti mancano quelli superiori. Atterrato, ha la testa piegata indietro dalla mano sinistra del Mitra, che tiene il muso per le narici, mentre la mano destra del dio sta pugnalando il collo del toro, dalla cui ferita sgorgano gocce di sangue, che sono lambite dal cane e dal serpente che era sul corpo; contemporaneamente uno scorpione è colto nell’atto di stringere tra le tenaglie i genitali del toro.

Elevatissimo appare il livello qualitativo dell'opera, che è ascrivibile verosimilmente ad un artista attivo a Roma, da cui la scultura fu poi trasportata a Tarquinia. Il reperto è frutto dell’impegno di un artista colto, che ben conosce sia le produzioni scultoree legate al classicismo del periodo adrianeo nel quale ha operato, sia i canoni dell’iconografia tipica delle statue di culto pertinenti alla religione mitriaca. La presenza di piccoli particolari incisi nella resa delle pupille degli animali facenti parte dell'opera e l'uso limitato del trapano contribuiscono ad inserirla cronologicamente nei primi anni del regno di Antonino Pio (138 – 161 d. C.).